Abbiamo avuto il grande piacere di intervistare Marco Ballestracci autore del libro L’ombra del Cannibale dedicato al grandissimo ciclista Eddy Merckx.
Con lui abbiamo avuto la possibilità di parlare del libro, della figura leggendaria del ciclista belga ma anche del ciclismo in generale e del mondo dello sport.
Vi lasciamo alle sue parole.
L’ombra del Cannibale, come nasce l’idea di questo libro?
Era il 2008 (il libro uscì nel 2009) e dopo aver scritto due libri sulla musica afro-americana – credo che la musica sia la mia più grande passione – che comunque finiva sempre per rifarsi a un ambiente culturale differente rispetto a quello italiano, mi chiesi: “Ma Cristo Santo, cosa puoi scrivere che non si riferisca all’America?” Ciò con cui ero cresciuto era lo sport dentro a una televisione Mivar in bianco e nero e mi dissi: “Devi scrivere di ciò che ti ha fatto crescere!”. Così nel 2008 Mattioli1885 pubblicò il mio primo libro “sportivo” – “A Pedate – 11 Racconti per 11 Leggendarie Partite di Calcio” – che andò subito bene e pensai che fosse una strada giusta. L’altro sport che m’aveva profondamente influenzato da ragazzo era il ciclismo. Sono nato nel 1962, perciò negli anni ’70 ero affondato nel ciclismo di Eddy Merckx e avevo dei ricordi e delle sensazioni nitidissime di quell’epoca. Così partendo dalla morte di Tom Simpson sul Ventoux il 13 luglio 1967, il corridore da cui Merckx attinse le prime nozione di leadership, cominciai a costruire “L’Ombra del Cannibale”.
Eddy Merckx ha partecipato in quale modo alla stesura o ha avuto comunque modo di conoscerlo?
No, non ha partecipato alla stesura: diciamo che il libro è un’idea letteraria-filosofica su ciò che potrebbe essere Merckx. Diciamo che è un progetto ispirato a un libro che io amo moltissimo: “Memorie di Adriano” di Marguerite Yourcenar. Adriano era un imperatore romano, mentre Merckx era l’indiscusso imperatore del ciclismo dal 1969 al 1974: non c’era nessun altro corridore che neanche lontanamente poteva insidiarlo. In realtà non l’ho neppure mai incontrato. Venne proposta una presentazione de “L’Ombra del Cannibale” al Salone del Libro di Torino del 2010 – o forse del 2009 – con la presenza di Merckx e con l’immediata accettazione del festival, ma Merckx, per via di alcune traversie imprenditoriali, non aveva l’umore adatto in quel periodo per presenziare. So che comunque l’ha ricevuto e che ha firmato diverse dediche sull’Ombra, perché i possessori che son riusciti a farselo firmare trovano il modo di inviarmi la dedica, scatenando le mie maledizioni, visto che non l’ho mai incontrato.
Sulla copertina leggiamo “Romanzo ciclistico”. Lo definirebbe più un romanzo o una biografia?
Purtroppo io non riesco a scrivere biografie. Come dico spesso se scrivessi biografie o saggi avrei la capacità di curare l’insonnia di chicchessia. Io scrivo romanzi storici. Prima ho studiato per filo e per segno l’epopea di Merckx (e di Tom Simpson) e poi ho costruito un romanzo, che però è molto preciso nelle connotazioni storiche. Ancora una volta il modello è stato “Adriano” della Yourcenar.
Chi era Eddy Merckx e quali erano le sue specialità?
Secondo me è stato il corridore più forte di tutti i tempi. 5 Giri, 5 Tour e tre doppiette nel 70, 72 e 74. Era il dio indiscusso del ciclismo. Certo, ci sarebbe pure Fausto Coppi, ma io lo preferisco perché l’ho visto in azione. Non aveva specialità particolari, semplicemente perché era il Dio Onnipotente del Ciclismo.
Perché lo chiamavano il “Cannibale”?
Beh, è un soprannome che gli diedero al Tour del 1969. Da esordiente al Giro di Francia vinse 6 tappe – più una cronosquadre – e tutte le classifiche: la generale, la classifica degli scalatori e quella a punti. Diventò il Cannibale perché durante la 17esima tappa – da Bagneres de Luchon a Mourenx Ville Nouvelle, con tutti i più grandi colli pirenaici sulla strada – nonostante fosse già maglia gialla con quasi 9 minuti di vantaggio sul secondo (Roger Pingeon), invece di controllare la corsa, attaccò sul Tourmalet e se ne andò da solo. Alla fine della giornata il secondo in classifica, sempre Roger Pingeon, si ritrovò staccato di 16 minuti. Infranse tutte le regole di sopravvivenza del ciclismo professionistico, schiantando tutti gli avversari. Felice Gimondi che aveva vinto quell’anno il Giro d’Italia, alla fine del Tour si ritrovò staccato di quasi mezz’ora. Evidentemente Merckx era piuttosto incazzato per via del complotto – piuttosto schifosetto, a dir la verità – che aveva condotto alla sua squalifica nel medesimo Giro d’Italia del ’69, così disse: “Adesso vi faccio vedere io come stanno le cose”. E diventò il Cannibale.
Andiamo a leggere cosa ci ha detto Marco Ballestracci tra Eddy Merckx e il futuro del ciclismo.
Pensa che nel ciclismo di oggi ci sia qualcuno con le sue caratteristiche?
No. Se Merckx corresse ora, con i materiali, le biciclette, le strade di adesso, darebbe le paste (nel senso di dolciumi) a tutti quanti, per quanto ‘sti sgolatori di telecronisti continuino a strillare “il nuovo Merckx! il nuovo Merckx!”. L’unica cosa che lo potrebbe mettere in difficoltà credo sarebbe la lunghezza delle tappe. Al Tour del ’73 capirono che Merckx doveva essere attaccato nelle tappe corte, perché faticava un pochetto a carburare. D’altro canto allora si parlava di tappe che spessissimo superavano i 250 chilometri: cioè come due tappe di adesso.
Come vede il futuro del ciclismo? Il calcio continua a essere dominante come sport in Italia, ma episodi recenti come quello di Jannik Sinner hanno dimostrato come ci sia spazio anche per altri sport.
Se ci pensa, il calcio continua a essere lo sport dominante in Italia anche se i risultati della nazionale soprattutto e dei club nelle competizioni internazionali fanno sorridere, per non dire ridere. Diciamo che Sinner ha rubato qualche minuto al calcio in televisione e nelle prime pagine dei giornali sportivi vincendo gli Australian Open, che è uno dei quattro tornei del Grande Slam. Ma domani si tornerà a parlare dei fastidi muscolari di Federico Chiesa, delle diatribe con la nazionale nigeriana di De Laurentiis per Osimhen, in attesa che Sinner vinca Wimbledon così da scalzare per un paio di giorni il football dalla breccia. Come direbbero a Roma: “Ma de che stamo a parlà?”. Il futuro del ciclismo, come quello degli altri sport, è residuale. In attesa che se ne parli un pochetto per via della Parigi – Roubaix e del Tour de France, se qualche italiano riuscirà a far bella figura, ma la vedo dura. Perciò sempre avanti col calcio, anche se ormai pare più una rivista di Garinei e Giovannini o, stiamo un po’ più sul pezzo, “Il Grande Fratello”.
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