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Il caso Pantani: doveva morire, Luca Steffenoni a Bicizen: ecco perché il ciclista non si è suicidato

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Matteo Fantozzi

Abbiamo parlato con il criminologo e scrittore Luca Steffenoni di uno dei casi più agghiaccianti di cronaca degli ultimi trent’anni in Italia: quello della morte di Marco Pantani.

Il Professore ha scritto il libro “Il caso Pantani: doveva morire”, che racconta tanti particolari inediti sul noto ciclista scomparso ormai da quasi vent’anni.

Il caso Pantani: doveva morire, Luca Steffenoni (Bicizen.it)

Andiamo a leggere le parole di Steffenoni, che ci ha chiarito molti punti di vista anche sull’uomo: “È stato un grandissimo, mi sono fatto l’idea che fosse un personaggio intimamente sofferto, molto semplice. Le cose che ha lasciato scritte sono al limite dell’analfabetismo, ma fortissime dal punto di vista emotivo. Era una persona estremamente umile che sapeva solo di pedali e che non ha accettato, con quel carattere romagnolo, la grande ingiustizia che gli è stata fatta. E su questo non ho nessun dubbio”.

Nella quarta di copertina l’autore cita Giovanni Falcone quando questi disse “Prima ti delegittimano, poi ti isolano e poi ti ammazzano”. E su questa citazione il criminologo spiega: “Sono sempre più convinto di aver azzeccato questa frase, è quello che è successo. Prima ancora di Campiglio e del famoso stop di 15 giorni è stato delegittimato, ogni volta che si è occupato dell’argomento doping o quando si è messo di fronte a una protesta sindacale. Ha capito che i ciclisti erano carne da macello, e questo è evidente a chi ha seguito la storia, ed è stato così delegittimato quando c’era bisogno di uno che rappresentasse i diritti dei ciclisti. Dopo è stato isolato, in maniera ignobile, che ancora ora grida vendetta”.

Marco Pantani e le evidenze sulla sua morte


Luca Steffenoni torna anche sul ritrovamento di Pantani: “Del corpo di Marco e di tutti i referti non sappiamo nulla se non un video fatto dalla polizia quando sono entrati nella camera dell’hotel e hanno fatto rapporto. Oltre a quello tipico e alla perizia è stato fatto un video. Quando sono entrati e il giudice istruttore ha visto la stanza a Rimini avevano già una loro linea perfetta, perché la stampa aveva creato una narrazione molto precisa. Pantani era il tossico, il disperato con brutte compagnie, c’era da aspettarselo. L’inchiesta sulla morte non è mai stata fatta”.

La tragedia di Marco Pantani (ANSA) Bicizen.it

E poi parla delle incongruenze legate all’ipotesi di suicidio: “Il servizio anatomopatologico dice delle cose incompatibili con il suicidio. Nessuno può ingerire sette grammi di cocaina secca, al primo grammo cercando di mangiarla rimetteresti talmente tanto da non poter continuare. C’erano artefatti assurdi con la stanza distrutta come se avesse avuto una crisi e nessuno a fianco ha sentito rumori. Cosa è successo? Pantani prima di chiudersi nell’albergo ha tirato su un casino per la cocaina, cercando lo spacciatore che era a Napoli e allora ha contattato una persona a Rimini. Questo non è piaciuto a qualcuno ed è molto probabile che il 14 febbraio sia successo che qualcuno si è incavolato delle modalità ed è salito da lui. Pantani chiamò due volte la reception dicendo che lo disturbava qualcuno e di chiamare i carabinieri. Penso che qualcuno abbia bussato e l’abbia aggredito, i segni di colluttazione lo dimostrano, magari il diverbio non doveva portare alla morte. Bisognava dunque simulare un suicidio. Simulazione fatta a tratti ridicola con per esempio la televisione scagliata a terra ma appoggiata perfettamente a terra, un vetro divelto dal bagno ma non si rompe nemmeno quello. Si tratta di una scena del delitto abbastanza ridicola, ma è bastata alla polizia”.

Matteo Fantozzi

Giornalista pubblicista dal 2013 è laureato in storia del cinema e autore di numerosi libri tra cui “Gabriele Muccino il poeta dell’incomunicabilità” e “Gennaro Volpe: sudore e cuore”. Protagonista in tv di trasmissioni come La Juve è sempre la Juve su T9 e Il processo dei tifosi su Teleroma 56.

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