E’ stata una delle vetture più rappresentative del terribile Gruppo B. Ecco la storia di una delle più iconiche auto da rally.
C’era una volta il Gruppo B, quel segmento che riuniva vetture da competizione da rally dal peso notevole di 900 kg e capaci di scaricare sull’asfalto fino a 600 cv. Il passaggio da zero a cento km/h erano in grado di compierlo in appena 2,5 secondi e la velocità massima raggiungibile era di 200 km/h. Numeri pazzeschi, da brividi, che facevano tremare i polsi, perché un conto è girare in tondo in circuito e un altro è lanciarsi su sterrati e asfalti complicati, magari senza guard rail, come quelli che si incontrano nel WRC.
Nata nel 1982, questa categoria tanto pericolosa vedrà scorrere i titoli di coda già nel 1986 a seguito della scomparsa dell’equipaggio della Lancia Delta S4 nel corso del Tour de Corse formato dall’indimenticato finlandese volante Henri Toivonen e dall’italiano Sergio Cresto.
Forse in pochi se la ricorderanno, ma ne faceva parte anche la macchina di cui andremo a parlare, nata da un’intuizione della Austin Rover sulla base della Austin Metro. La sua partecipazione al massimo campionato del traverso si esaurirà tra il 1985 e l’ultimo anno disponibile, nonostante la vettura fosse letteralmente una follia interessantissima!
Aveva fatto sognare tutti nei rally. Perché è stata dimenticata
Per chi non lo avesse capito stiamo parlando della MG Metro 6R4. Prodotta dal 1980 al 1990 dalla Austin Metro, nelle sue varianti corsaiole vedrà la partecipazione del marchio MG, deputato alla loro commercializzazione. La data X per l’auto britannica sarà però il 1984 quando la Williams, nota scuderia di F1 fondata poco prima da Frank Williams e Patrick Head, accetterà di collaborare alla realizzazione di un mezzo ad hoc per i rally.
Il suo nome è un acronimo: 6 sta per il numero dei cilindri, R per “rear”, ovvero posteriore ad indicare la posizione del motore, e 4 per le ruote motrici. Replicata in duecento esemplari otterrà l’omologazione per il Mondiale. Simile nell’estetica alla Metro modello di partenza, ne stravolgerà la meccanica e l’aerodinamica per adattarsi alle esigenze di gara.
Dotata di trazione integrale, era spinta da un V6 bialbero da 24 valvole, per 2996 cm3. Nella variante di serie spingeva 250 cv, mentre i quella racing addirittura 410, per un salto da zero a 180 km/h in appena 10 secondi. La peculiarità dell’unità motrice stava nell’essere una derivazione del Rover V8 3.5 litri, ma con due cilindri in meno. Interessante notare che proprio per le sue performance varrà adottato anche sulla Jaguar XJ220.
Come anticipato la sua carriera non sarà molto lunga a causa dell’incidente mortale di cui abbiamo accennato all’inizio e di un altro episodio drammatico avvenuto in Portogallo. Circa i risultati, a parte una ghiotta terza posizione ottenuta nel Rally di Gran Bretagna, non otterrà più un granché per via di diversi problemi di affidabilità seguiti da altrettanti ritiri. Si ricordano tuttavia un sesto posto nell’86 nel Regno Unito e un quarto nel nostro tracciato di Sanremo.
Tramontata l’esperienza nel regno del controsterzo, si misurerà in campionati meno famosi e nel rallycross. Qui grazie a Will Gollop si metterà in luce nella Divisione GT della serie europea, che vinse nel 1992, dopo un secondo posto portato a casa nel ’91 e precedentemente tre medaglie di bronzo. Pochi anni più tardi, la British Leyland andrà in fallimento ed oggi, MG produce SUV più che automobili come la Metro sotto la gestione cinese.